LE ORIGINI DELLA CITTA'

Marigliano è sicuramente un antico centro di origine romana, la cui fondazione e storia sembrano essere molto legate a quella della molto più famosa e rinomata città di Nola.

Non si hanno dati inconfutabili e precisi sulla an­tichissima origine della città di Marigliano. Il suo territorio, completamente pianeggiante, fa parte della più vasta pianura campana, attraversata da un buon nume­ro di fiumi.

Di Marigliano ed in particolare delle sue origini e della sua storia sino al XIX secolo, si sono interessa­ti, tra gli altri, due illustri ed appassionati studio­si di storia locale che rispondono al nome di Tommaso Turboli e Alfonso Ricciardi. Dal loro lavoro sono nati due scritti entrambi di facile e piacevole lettura in cui sono riportati fatti di narrazione storica a dimo­strazione delle loro tesi a proposito.

La trattazione del Ricciardi (Marigliano ed i comuni del suo mandamento — Napoli 1893) è sicuramente più vasta e dettagliata, anche se per certi versi può sem­brare prolissa e dispersiva, a differenza di quella del Turboli (Ricerche storiche di Marigliano e Pomigliano d’Arco — Napoli 1791) molto concisa e, per quanto è possibile, precisa.

Sulla origine dell’appellativo “Marigliano” e circa l’individuazione del sito ove questa città è sorta, sono state avanzate alcune tesi (tre in particolare) tutte supportate da più o meno certi fatti storici che non permettono di escluderne nessuna con sicura certezza e che di seguito si schematizzano con riserva di approfondirle in seguito.

La prima individua il luogo dove ora sorge Marigliano derivandone il relativo nome da un’antica villa Mariana qui sorta ad opera della “gente Maria nolana”, il cui vasto latifondo “intravediamo, all’epoca del romano impero, coltivato dai servi e dai coloni della gente Ma­ria nolana, nucleo della villa ed embrione, forse, del­la città, che ebbe il nome dalla famiglia che ne tenne il possesso e che nella tenace eternità domestica lo trasmise di secolo in secolo, che assiste e sfida gli eventi delle guerre che intorno ad esso hanno teatro sanguinoso, seguendo a volta il destino dei vinti, a volta le glorie dei vincitori” (A.Ricciardi).

La seconda, invece, individua l’attuale sito della città in quello in cui si stabilì un antico accampamento romano quivi sorto ad opera di Claudio Marcello, console romano nato a Nola, che tanto fieramente lottò contro Annibale nel periodo immediatamente successivo alla di­sfatta romana a Canne (216 A.C., 215 A.C., 214 A.C.). In questo accampamento si trapiantarono colonie di cittadi­ni romani che “diedero principio alla popolazione di Marigliano”. Nel 631 (ab urbe condita), Silla, strappò Nola ai Sanniti e distribuì a quarantasette legioni tutti i terreni che aveva tolto alle città ribelli, (tra le quali Nola); fra le famiglie dei legionari premiate vi fu quella dei Mari da cui, il Turboli ritiene che il co­mune odierno abbia tratto il nome Marigliano.

Nel Medio Evo Marigliano era cinta da mura quadrate ed aveva Quat­tro porte di accesso.

La terza ipotesi, infine, argomenta le origini del toponimo da un possedimento della famiglia Marilia qui stabilitasi.

E’ da notare, però, che delle tre tesi su esposte la prima e la terza potrebbero concettualmente essere fuse in una soltanto, facendo queste derivare l’origine del nome e della città da due diverse famiglie gentilizie romane quasi sicuramente esistite. Sembra verosimile che alcune delle famiglie che avrebbero avuto in possesso alcune delle terre intorno Nola abbiano lasciato in ere­dità al luogo il loro nome o comunque una alterazione dello stesso. E’ il caso, ad esempio, della vicina Brusciano, il cui nome sembra derivare da quello della fa­miglia Bruto o Bruziano, o quello della anche vicina Mugnano il cui nome deriverebbe da quello della famiglia Muciana, Miniana o Muiana. Dunque Marigliano potrebbe vedere il proprio nome far capo a quello della famiglia Marilia o Mariana.

A testimonianza di ciò esistono o sono esistiti nel­le città nominate lapidi marmoree nelle cui iscrizioni sono presenti tali nomi, come ad esempio, quella (citata nella su accennata opera del Turboli) nella quale vi è la citazione del nome ‘Marianus”:

D. M.

Areila Aurel. Vixit an. XVII

Aur. Marianus fil. ejus vix.

An. I. M. IIII. Aur. Babus Vet.

Un simile nome si trova in quest’altra, dove si cita la famiglia Fabiana: donde il nome di “Fagiano” o Faibano nome col quale attualmente è chiamata una frazione di Marigliano:

Vaciae Hungariae prope Budam

L.Annio Fabiano III. Viro Capital.

Trib. Leg. II. Aug. Quaestori Urbano

Trib. Pleb. Praetori. Curatori Viae

Latinae. Leg. X. Fretensis Leg.

Aug. Pr. Pr. Provinc. Dac. Col.

Ulp. Traian. Sarmat.

I più antichi documenti, non lapidari, che ci atte­stano l’esistenza di Marigliano Marilianum) risalgono all’anno 917 D.C.; si tratta in particolare, di pergame­ne attestanti donazioni di fondi siti in Marilianum.

 

CENNI STORICI SULLA CITTA'

E’ certo, però, che l’origine della città è molto più antica, e ciò è suffragato da molti elementi tangi­bili, come ad esempio, il rinvenimento di alcuni fram­menti architettonici in occasione di lavori di scavo per la ristrutturazione del Convento dei Frati Minori Fran­cescani di San Vito risalenti sicuramente al periodo ro­mano; oppure il rinvenimento di marmi antichi in occa­sione dello scavo delle fondamenta della Chiesa Di Santo Stefano in località Casaferro (1874), anch’esse di pro­babile fattura romana, o, infine, il non meno trascura­bile, anche se spesso taciuto e solo in sporadici casi denunciato, ritrovamento di antiche mura o tombe, forse romane, sempre in occasione di scavi per costruzioni edilizie.

IGermani, con le loro invasioni impetuose e distruttive, non risparmiarono il territorio dell’attuale Marigliano e nemmeno quello della “vecchia Liburia” (territorio compreso tra il fiume Clanio, antico corso d’acqua che nasceva dalle montagne di Cancello, e Can­cello stesso) di cui faceva parte. Infatti con la caduta dell’Impero romano d’Occidente anche queste terre furono oggetto non solo delle violenze barbariche, ma anche di contestazioni tra le vicine città di Nola e Napoli che ne rivendicavano il possesso. In effetti le notizie a nostra disposizione, riferite particolarmente a questi territori, non sono ancora sufficienti a farci avere un quadro preciso della situazione storica e dell’apparte­nenza del sito mariglianese a Nola o a Napoli.

Il primo documento pergamenaceo che attesta l’esi­stenza di Marigliano risale al 27 marzo 917: è un atto per il quale tale Don Giovanni dona a Giovanni Teofilatto un fondo sito in “Marilianum”. Sempre al decimo seco­lo appartengono altri documenti attestanti non solo l’effettiva esistenza di Marigliano, ma anche quella di due casali (attualmente sue frazioni): esattamente “Ca­sa-Ferrea” (Casaferro) e “Faibanum” (Faibano).

Ilducato di Napoli, di cui Marigliano ed altre ter­re della Liburia facevano parte, non subì l’invasione normanna fino all’anno 1132, anno nel quale Sergio, duca di Napoli, si sottomise al re normanno Ruggero I d’Altavilla. Ciò comportò il fatto che coloro che popolavano tali luoghi non furono condizionati, per parecchio tem­po, dalle istituzioni normanne, anche se, col passare degli anni, le innovazioni di materia feudale ne attanagliarono ben presto le strutture economiche e sociali.

Il territorio mariglianese non fu assoggettato ad istituzioni di tipo feudale fino al 1132; fu in quell’anno che Ruggiero Il d’Altavilla trasformò in feu­di le terre della Liburia e ne diede il possesso, insie­me con quello acerrano, al normanno Roberto De Medania già conte di Acerra. Questi fu il primo signore di Marigliano a cui successe Riccardo, cognato del re Tancredi. Di tutte le concessioni feudali fatte nel secolo XII, non abbiamo documenti scritti, in quanto, durante una ribellione della nobiltà napoletana contro il re norman­no Guglielmo I “il Malo”, fu distrutta l’intera cancel­leria reale dove tali scritti erano conservati.

Dal matrimonio tra Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, e Costanza d’Altavilla, figlia di Guglielmo II, la città di Napoli e l’intero Regno delle Due Sicilie, passò sotto il dominio svevo. Fu in seno alla nuova dinastia che, nel 1197, l’Imperatore Enrico VI condannò Riccardo di Medania, ultimo rappresentante della dina­stia normanna, ad essere prima trascinato da un cavallo per le vie di Capua e poi ad essere impiccato a testa in giù. Diopoldo D’Arce, che aveva consegnato Riccardo di Medania ad Enrico VI, ottenne come premio il possesso del Contado di Acerra, ma presto finì per essere impri­gionato da Federico II. Quest’ultimo, infine, diede in possesso lo stesso Contado di Acerra e le terre di Marigliano a Tommaso conte d’Aquino che le trasferì al nipo­te Tommaso che sposò Anna, figlia naturale dell’impera­tore.

Morto Federico II, Manfredi, suo figlio naturale, osteggiato da Papa Innocenzo IV, non riuscì ad imposses­sarsi del trono del defunto padre, ma fu costretto a fuggire. Il Regno di Sicilia, Puglia e Palermo non fu suo fino al 1258. Nel 1265 Carlo D’Angiò, signore di Provenza, fu investito da Papa Clemente IV re di Sicilia e di Puglia muovendosi tosto alla conquista delle terre che ne facevano parte. La battaglia tra angioini e svevi avvenne nei pressi di Benevento nel 1266 e vide Manfredi abbandonato dalla sua nobiltà, sconfitto e morto sul campo.

Le terre di Marigliano rimasero così nelle mani di Tommaso II d’Aquino fino al 24 aprile del 1274; in que­sta data il feudo, ad opera di Carlo I, passò al Conte Roberto di Alverno.

Il figlio di Tommaso II d’Aquino, Adinulfo, comun­que, godendo delle grazie del re Carlo II, riuscì ad im­possessarsi delle terre dell’acerrano e del mariglianese, ma i feudi finirono con l’essere ceduti a Filippo, figlio di Carlo I d’Angiò, in uno col principato di Sa­lerno, dopo che Adinulfo si macchiò di fellonia.

Morto Filippo gli successe il figlio Roberto e, quindi, il fratello Filippo II. Nel 1348 le terre del napoletano, comprese quelle dell’acerrano e del mariglianese, furono duramente saccheggiate dall’esercito ungaro guidato da Luigi re d’ungheria, che voleva vendi­care il fratello Andrea, marito della regina Giovanna I, ucciso nel 1345. Re Luigi ed il suo esercito si stabili­rono presso Acerra da dove mossero per saccheggiare le terre dintorno compresa Nola.

Sempre nel periodo angioino, Giacomo del Balzo, ni­pote di Filippo II, ereditate le terre di cui andavamo parlando, compreso il principato di Taranto, dovette scontrarsi ben due volte con la regina Giovanna I accorsa in aiuto a Ugone Sanseverino, a cui Giacomo aveva sottratto la città di Matera. L’acerrano ed il mariglianese finirono per essere affidate ad Ottone di Brunswick, duca di Sassonia e quarto marito della regina.

La venuta di papa Urbano VI segnò la fine del regno di Giovanna I (sostenitrice di Clemente VIIl’antipapa), in favore di Carlo, duca di Durazzo; uno dei possedimen­ti di Ottone di Brunswich, forse proprio Marigliano, fu venduto a Ramondello del Balzo Orsino. Risulta, infatti, da documenti ufficiali che nel 1397 Ramondello del Balzo Orsino possedeva estesi feudi in Puglia, a Benevento, Acerra e Marigliano.

Dopo la sua morte, il possedimento di Marigliano, confiscato dal re Ladislao, fu di poi venduto ad Annecchino Mormile di Napoli per 7.700 ducati d’oro. Il 7 di giugno del 1421 il feudo di Marigliano fu assediato dai mercenari di Braccio da Montone, assoldato da Giovanna II per strappare tale possedimento al ribelle Mormile, sostenitore del duca Ludovico d’Angiò al trono di Napoli.

Il giorno 1 di aprile del 1422 Marigliano finì per ritornare tra i possedimenti del principe di Taranto Giovanni Antonio del Balzo Orsino, primogenito di Ramondello. Morto quest’ultimo (16 novembre 1463) tutti i suoi averi andarono per sua volontà al re Ferdinando I d’Aragona e per i sedici anni seguenti tali possedimenti faranno sempre parte del Regio Demanio. Il re aragonese il 26 agosto 1479 vendette il possedimento di Marigliano, con il castello, i casali e le ville, al regio con­sigliere Alberico Carafa per la cifra di 6.000 ducati. Nel 1482 Alberico Carafa ottenne per Marigliano il primo titolo nobiliare; infatti, il 22 giugno fu nominato con­te da re Ferdinado II ed il feudo di Marigliano diventò così contado.

Marigliano, ed i suoi cittadini per essa, deve sicuramente molta riconoscenza al conte Alberico Carafa per tutte le opere di ricostruzione e restauro che lo stesso ha ivi operato e tra queste l’ampliamento e restauro della Chiesa di San Vito e Santa Maria delle Grazie, facendola anche diventare Collegiata.

Alberico II Carafa, figlio di Francesco Carafa e di Francesca Orsini, fu il terzo conte di Marigliano, ma avendo poi parteggiato per la lega antiasburgica contro l’imperatore Carlo V, si macchiò di tradimento e, dopo aver avuto confiscati tutti i beni, dovette fuggire in Francia. Intanto Carlo V diventò re delle Due Sicilie, il 30 giugno 1532 donò il ducato di Ariano e lo stesso contado di Marigliano a Ferrante Gonzaga, principe di Molfetta, cui gli successe il figlio Cesare che il 6 settembre 1566 vendette Marigliano e casali a Vincenzo Carafa, fratello di Alberico II. Quest’ultimo morì dopo appena sette anni e avendo lasciato debiti di vario ge­nere, essi finirono per gravare sui suoi possedimenti tanto che, il giorno 14 aprile 1573, le terre di Marigliano furono messe all’asta e comprate da Geronimo Montenegro, banchiere di Napoli, che il 23 dicembre 1578 ottenne dall’imperatore Filippo II il titolo di marche­se. La famiglia Montenegro vendette il possedimento mariglianese a Cesare Zattera di Genova che, a sua volta, lo cedette, insieme ai casali, a Giulio Mastrilli per 136.800 ducati. Quest’ultimo, già consigliere del re, il 4 agosto 1644 ottenne il titolo di duca da Filippo IV di Spagna.

La famiglia Mastrilli eserciterà il suo dominio sul territorio mariglianese ancora per circa centocinquant’anni e di alcune terre del circondano. Da ricor­dare durante questo lungo dominio è sicuramente il notevole interessamento di Isabella Mastrilli per i fiorentissimi centri di cultura dell’epoca, costituiti per la gran parte dalle diffusissime accademie culturali.

Isabella Mastrilli fu l’iniziatrice di una non famo­sissima accademia denominata “Accademia di Marigliano” di cui fecero parte notissimi esponenti della cultura del secolo tra i quali spicca il nome di Carlo Pecchia.

Il lungo dominio della famiglia Mastrilli, però, do­vette attraversare non poche e dure traversie. E’ il ca­so, ad esempio, della rivolta dei vassalli di Giulio Mastrilli costretto a rinchiudersi nel Convento di San Vito a causa delle gabelle troppo alte, della peste del 1656, dell’inondazione del casale di Faibano del 1743, della carestia del 1764, della siccità del 1779 e della terri­bile eruzione del Vesuvio dell’8 agosto 1779.

Il 1789, anno dello scoppio della Rivoluzione Francese, inneggiante la sacra e giusta libertà ed uguaglian­za, segnò un momento importante della storia europea. Infatti, il 3 maggio 1799 Giovanni Mastrilli duca di Marigliano fu arrestato. Dopo una breve restaurazione bor­bonica durata sino al 1806, Napoleone Bonaparte nominò il fratello Giuseppe re di Napoli. Il 2 di agosto del 1806 Giuseppe Bonaparte dichiarò definitivamente estinta la feudalità e Marigliano divenne un libero Comune. No­nostante ciò, però, è ancora presto per poter parlare di Nazione libera ed unita; infatti, dovrà trascorrere an­cora mezzo secolo per poter vedere realizzate tali a­spettative.

Marigliano e la sua gente non rimasero estranei alle lotte risorgimentali. In molti, infatti, parteciparono ai moti che caratterizzarono questo periodo storico. Tra i tanti si ricorda la figura di Mariano Semmola, docente universitario e poi Segretario del Parlamento, che parte­cipò, insieme a Morelli e Silvati, ai moti del luglio 1820.

Il giorno 2 aprile 1896 il re Umberto I e il Presi­dente del Consiglio Francesco Crispi firmarono il Decre­to, poi registrato alla Consulta Araldica del Regno d’I­talia, col quale si concedeva a Marigliano il titolo di “Città” , a testimonianza e riconoscimento della laboriosità del popolo di questa terra e per il ruolo ricoperto in vari accadimenti di rilevante importanza storica.

CARATTERI GEO-STORICI

La città di Marigliano, compresa attualmente nella provincia di Napoli, è un centro di 22,60 Km2 situato a 30 metri s.l.m., a circa diciannove chilometri da Napoli; all’ultimo censimento (20.10.2001) conta 9.619 fa­miglie per un totale di 30.083 abitanti.

Il suo abitato si è sviluppato sulla sinistra della direttrice stradale della statale di Terra di Lavoro, che collega Pomigliano D’Arco con l’alto nolano. A tutt’oggi Marigliano rappresenta un importante centro agricolo della Pianura Campana e può contare su un nume­ro di addetti in agricoltura sempre piuttosto congruo anche se forse sempre più occasionale, attestato su un valore vicino al 45% e non sempre in grado di offrire un reddito sufficiente.

L’economia, dunque, anche qui si va terziareggiando dato che le imprese individuali sono ben poca cosa.

 

LE EVOLUZIONI SOCIO-CULTURALI DEL DOPOGUERRA

Nel presente secolo, la storia di Marigliano e della sua gente non è stata molto diversa rispetto a quella dei Comuni e delle popolazioni viciniore e delle due città quasi finitime e molto più grandi e importanti storicamente, di Nola e Pomigliano D’Arco, tra le quali geograficamente è situata. Varie, complesse ed immaginabili sono state le traversie che i cittadini mariglianesi, in gran parte contadini, hanno dovuto affrontare so­lo per poter sopravvivere, prima, durante e dopo i due grandi conflitti mondiali, che, se poco o niente hanno devastato direttamente il territorio con azioni belli­che, hanno comunque indelebilmente segnato le vicissitu­dini del paese soprattutto nei due dopoguerra.

Infatti, il popolo mariglianese, parsimonioso e previggente per eccellenza, si trovò a subire proprio l’in­certezza della vita che aveva fatto di tutto per evita­re. Ancora oggi, le persone anziane parlando delle dif­ficoltà di vario genere provocate specie dalla seconda guerra mondiale, non menzionano tanto i sacrifici fatti in termini di scarsità di cibo, di lontananza di fami­liari perché impegnati nel conflitto o anche di perdite dolorose, quanto l’impossibilità o la aleatorietà del risparmio.

Così e di questo parlano gli anziani agricoltori, non menzionando, perchè ne ignorano le cause, il proble­ma fondamentale che nel secondo dopoguerra ebbe inizio e avrebbe in seguito funestato l’attività principale della zona, l’agricoltura.

Infatti, con i carri armati alleati transitanti per la SS 7/bis e accampati sia pur brevemente un po’ qua e un po’ là non giunsero soltanto i films western, il pane bianco, le sigarette bionde, il cioccolato e biondi, baldanzosi e disinvolti giovanottoni americani; con quei carri armati giunse invisibile la dorifora, il perniciosissimo parassita della patata, l’ortaggio più coltiva­to, col pomodoro San Marzano, nella zona, devastandone le piantagioni e falcidiando i raccolti per numerosi an­ni, fino all’avvento del D.D.T. prima e dei numerosissi­mi insetticidi e anticrittogamici dopo.

Furono queste disastrose annate agricole le peggiori bombe sopportate dalla zona, più devastanti di tutti i “napalm” di questo mondo, tanto che, ridotti alla mise­ria più nera, nei primi anni cinquanta, i contadini mariglianesi, che per la natura del loro mestiere e per la persistenza di pacifiche tradizioni erano i meno indica­ti, si ribellarono e furono protagonisti di azioni violente inusitate fino ad all’ora.

“La situazione era tale”, affermava un vecchietto dalle idee chiare e dalla lingua pronta, “che il curare un genitore ammalato sia pure di una bronchitella, era un onere pressocchè insostenibile, una vera disgrazia, per eliminare la quale, non bastava il ricavato di un’annata agricola. Tali spese potevano essere sopporta­te solo per la compiacenza di medici e farmacisti dispo­sti ad attendere mesi e mesi prima di avere il loro”.

I raccolti quasi mai ripagavano i contadini del loro strenuo, ma affezionato lavoro; l’indefesso lavoro dalle prime luci dell’alba a sera, permetteva loro appena di poter vivere per il semplice motivo che producevano quel tanto che era indispensabile alla famiglia spesso nume­rosa. A vedere oggi il rigoglio della vegetazione in questa zona quasi non si crede ad una situazione tanto miserrima di una quarantina d’anni fa; ma bisogna tener presente che in quei tempi non esistevano le sementi se­lezionate, irradiate, ecc., nè i concimi chimici, nè i diserbanti, nè i macchinari per il movimento terra, nè gli insetticidi di oggi.

Ma proprio in questo periodo disastrato, nasce e si affermerà la tendenza dei contadini a far studiare i fi­gli, per tenerli lontani da un mestiere troppo ingrato. Cosi si sono avuti e si hanno liberi professionisti oltrechè operai, impiegati e negozianti, figli di contadi­ni che appena sapevano, se lo sapevano, leggere e scri­vere.

Un insegnante raccontava che negli anni qua­ranta studiare all’Università costava moltissimo, all’incirca il valore di una vacca da latte ogni anno, animale quest’ultimo, considerato dai contadini, una vera e propria ricchezza, vendere la quale significava as­sicurare il cibo per un intero anno ad una famiglia. Niente studi, quindi, tutti al lavoro e in più si è tan­to meglio. I guai arrivavano quando dopo mesi di lavoro i frutti non si vedevano, nel senso che i ricavati non solo non ripagavano del faticoso lavoro permettendo lo­ro, nel caso di riparare e rendere più vivibile la loro casa, acquistare qualche altro capo di bestiame e così via, ma assicuravano a mala pena la sopravvivenza della famiglia.

Fu un lunedì del Luglio 1959, che alcuni tra i più facinorosi, organizzarono un corteo al quale presero parte quasi tutti i contadini del paese con l’intenzione di manifestare, come già era successo numerose volte, innanzi al Municipio. I più esagitati erano anche armati di vanghe, forconi, rastrelli, ecc., con i quali voleva­no dimostrare la decisione di non più lavorare la terra. Ma poi la protesta traviò e, dopo aver fatto sgomberare la vicina scuola, alcuni tra i più temerari invasero il Comune dandolo completamente alle fiamme. La protesta si spostò poi nella vicina fiera settimanale che fu lette­ralmente saccheggiata.

Il fatto non passò certo inosservato dato che il se­guito costò ad alcuni qualche mese di prigione.

Dalla fine degli anni cinquanta fino ad oggi le cose sono andate un po’ evolvendosi, nel senso che l’uso dei pochissimi prodotti che le nostre terre sono riuscite a fornire con eccellente qualità, hanno trovato, a poco a poco, una abbastanza puntuale collocazione nel giovane mercato europeo. Questa crescente domanda per i prodotti ivi coltivati ha permesso a tutti, col passare degli an­ni, di poter fidare con più sicurezza nei guadagni de­rivanti dal lavoro dei campi e di poter vedere, in qual­che caso, realizzato qualche sogno tenuto per anni nel cassetto.

Il passare degli anni, però, e soprattutto l’intro­duzione di mezzi tecnici sempre più innovativi e di più largo uso, ha permesso lo sfruttamento dei terreni in modo sempre più razionale ed intensivo, anche se con l’impiego di discreti capitali e innovative tecniche.

Il sorgere di qualche piccola fabbrica, il voluto abbandono dei campi per intraprendere altri mestieri spesso artigianali ed in qualche caso l’emigrazione vo­lontaria, hanno favorito la diminuzione degli addetti

fissi nel campo dell’agricoltura, i quali hanno cercato fonti di guadagno alternative e più redditizie.

Il lavoro dei campi, unito sempre all’amore per la terra, è diventato, salvo che per i sempre più numerosi vecchietti, per buona parte dei nuovi addetti, un secon­do reddito, anche se non sempre consistente, unito a quello derivante da un’occupazione industriale (Alfasud, Alfa Romeo, ecc. di Pomigliano D’Arco, piccole aziende locali) o artigianale (edilizia, lavorazione del ferro, idraulici, piccoli negozi, ecc.). Possedere un appezzamento di terra, gli attrezzi acquistati in tempi passati ed una certa disponibilità di tempo, spingono ancora molti a non lasciare incolti i propri campi constatando, purtroppo, regolarmente, al momento della vendita dei prodotti, una forte crisi tutt’ora in atto per chi, come loro produce poco e con costi di gestione molto alti rispetto a grossi o intraprendenti imprenditori del setto­re che riescono a produrre in maggiori quantità, a minor costo e con migliore qualità, grazie all’uso più intensivo e razionale di macchinari e prodotti chimici vari.

Negli ultimi anni, però, anche questa agricoltura da secondo reddito, è andata in crisi, perchè nel vicino Tavoliere delle Puglie sono riusciti a produrre prima e a minori costi i pomodori pelabili che erano la specia­lità dell’agro nolano e noverino-sarnese.

Le condizioni del terreno della nostra zona, infatti, non possono competere con quelle del Tavoliere meno sfruttato, recentemente bonificato ed in mano ad impren­ditori che mettono a coltura migliaia di ettari di ter­reno fertilissimo e con mezzi meccanici e tecniche all ‘avanguardia.

Per avere un’idea esatta della gravità del fenomeno, si può dire che i pomodori prodotti nel Tavoliere vengo­no acquistate dalle industrie di trasformazione ad un prezzo che è all’incirca un quarto di quello praticato dai produttori mariglianesi.

Fino a quando i produttori dell’agro nolano e nocerino sarnese non riusciranno ad ottenere un marchio di qualità del pomodoro San Marzano e conseguentemente un prezzo più alto per il loro specialissimo prodotto, la situazione di crisi del settore è destinata a permanere, se non ad aggravarsi.

Resta “l’amore per la terra” che c’è ancora e ci sarà, ma quanto potrà durare ?

 

LA STORIA
 
Le Origini della Città
Cenni Storici sulla Città
Caratteri Geo-Storici
Le evoluzioni socio-culturali del dopoguerra